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il generale tempo 239


lavori della seconda linea nemica, già pronta sui declivi del Fajti Hrib, un intreccio strano di linee chiare di scavo alternate a cineree strisce di reticolati. Il terreno delle avanzate future, la strada dell’avvenire, svanisce in un pallore crepuscolare. E le difese immediate che ci stanno di fronte, che si mostrano qua e là allo scoperto, appaiono confuse e complicate come uno schieramento di macerie.

L’acqua stormisce monotona nei boschi e sulle sterpaie, spande il suo mormorio strisciante sulle rocce, ruscella nei camminamenti, inonda qualche trincea, in fondo alla quale sono disposte ad intervalli delle grosse pietre per posare il passo. L’acqua che scorre e che gorgoglia empie tutto della sua voce liquida, e pare non ci sia che lei di mobile e di vivo sulle posizioni, fra quegli sterminati allineamenti di sassi ammonticchiati. Da distante si ha l’impressione che la battaglia non metta in rango che delle pietre, in formazioni sempre varie, sempre nuove. Giorno per giorno si vedono dei muricciuoli avanzare, delle schiere di blocchi prolungarsi, moltiplicarsi, come se insensibilmente manovrassero in una loro fantastica e solenne guerra di macigni.

Gli uomini in trincea si sono rannicchiati, si sono imbucati, si sono creati minuscoli ricoveri contro la pioggia. Hanno sospeso sulle loro teste le più svariate tettoie. Alcuni hanno di-