Pagina:Barzini - Dal Trentino al Carso, 1917.djvu/292

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282 dove è passata la battaglia


gloditichehanno debolezze insanabili. Possono creare delle buone riserve di prigionieri, se l’azione li studia, li prevede, li domina a tempo. Ma essi portano elementi da leggenda, stravaganze favolose, nella lotta. Il Carso ha caverne così vaste, che dei reggimenti potrebbero manovrarvi. Se ne conoscono alcune, delle quali la vôlta, lontana, come un cielo nuvoloso pietrificato, non è visibile se non al balenìo di razzi. Quante se ne ignorano?

Risalendo dal silenzio dei rifugi di Nova Villa, al primo momento il frastuono delle granate ha una violenza lacerante. Il nemico cannoneggia assiduamente il deserto e la rovina. Bombarda i ruderi. Oppacchiasella è in eruzione. La strada è battuta. Ad ogni minuto bisogna rannicchiarsi sotto al miagolio formidabile delle schegge, che pare non finiscano mai di cadere. Rimane a lungo nell’aria un frullìo sonoro di pesanti spolette. E non c’è nessuno. È un’ossessione, un incubo, pare di essere a distanze insuperabili dal mondo. Tutto è morto. Anche la strada è morta. Il ricordo delle caverne visitate ha un non so che di angoscioso e di funebre come il ricordo di tombe smisurate. Si indovinano cadaveri nemici su ogni ripiego del terreno. Si cerca un uomo, una forma vivente, con una specie di ossessione.

Oh, delle voci! Finalmente! Ecco degliel-