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344 l’eccidio degli inermi


di temerla, di presentirla. Nessuna angoscia, nessun terrore, nessuna agonia: in quell’antro spaventoso la gente si credeva sicura ed è stata annientata con la rapidità della folgore. Si è rinvenuta la spoletta della bomba; era un grande proiettile di forse cento chili. L’esplosione nel cunicolo affollato ha funzionato come lo scoppio della carica in una camera di mina. Era una mina barricata da una moltitudine umana.

Il funebre sotterraneo conduceva alle casematte d’un antico bastione, uno spalto tutto erboso, rimasto in mezzo alla città dilagante, simile ad un giardino pensile cinto da vecchie muraglie di fortezza. Al terrapieno si appoggiava una di quelle costruzioni parassitarie che nascono sulle fortificazioni abbandonate. Era un’osteria; il sotterraneo del bastione s’era trasformato in cantina. Quel resto di fortilizio era divenuto con gli anni un luogo di ritrovo domenicale. Negli ultimi tempi, quando veniva segnalata un’incursione di aeroplani nemici, la popolazione del sobborgo vicino, tutto vecchi portici e piccole case, correva alla strana osteria, ne penetrava le cantine e si spandeva per le tenebrose casematte, vociando, ridendo, alla luce oscillante di miriadi di moccoletti. Si sentiva tranquilla. Nessuna bomba avrebbe mai potuto attraversare gli spalti e le vôlte dell’an-