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la battaglia sulle vette 67


rupate pendici del Monte Corno, alla sinistra, come fra le balze rocciose del Monte Chiesa, alla destra; ma prendervi piede è difficile per fronteggiare contrattacchi che innumerevoli osservatori sovrastanti guidano, e che hanno spesso la violenza meccanica del peso che cade. Ah, se non ci si battesse sempre verso delle cime!

Una gran parte della forza nemica contro di noi è dovuta a questa fatale conformazione del terreno, sulla quale l’Austria aveva fatto i suoi calcoli. E fra le mille prove della preparazione meticolosa della guerra d’invasione all’Italia, basterebbe quella della usurpazione della Cima Undici e la Cima Dodici, di quei «quattro sassi» come si disse da noi bonariamente cedendo, che sono le sommità dominanti del terreno, gli immani castelli di roccia che comandano tutta la regione, gli osservatori che scorgono ogni nostra mossa. Salire, salire sempre, salire per aspre balze tormentate e rotte, salire faticosamente per passaggi obbligati, angusti e micidiali, salire combattendo, con il nemico sopra: ecco la necessità inesorabile della nostra guerra.

L’offensiva nostra è tenace, incessante, risoluta, ma l’avanzata non può essere che faticosa e lenta. La guerra è però su tutte le fronti, si incatena, e dobbiamo apprezzarla nei risultati generali. I progressi trionfali delle armate russe sono un po’ vittoria nostra, come i successi franco-inglesi sono un po’ vittoria russa. Nella