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82 il baluardo ripreso


grandi uragani e nelle quali tutto sembra fermarsi in una attesa di spavento.

Non un colpo di fucile arrivava dalle trincee. Le posizioni parevano deserte. Si udiva salire dalle valli solitarie un lontano gracidare di cicale. Anche le centurie dei soldati lavoratori, incaricate di falciare le messi e di raccogliere le biade dove la popolazione è fuggita, le belle centurie di territoriali grigi che coltivano i campi di battaglia, avevano lasciato l’opra. Solo nell’ombra dei boschi, al rovescio di certi monti, intorno ai cannoni nascosti entro il fogliame si muovevano alacremente gruppi di artiglieri intenti a trasportare granate. Diverse centinaia di cannoni di ogni calibro, dai 305 mastodontici ai pezzi da montagna, si preparavano. Ve ne erano in basso, in alto, verso le cime, nelle gole, imbucati fra le rocce, annidati fra gli alberi, così invisibili da lontano che bisognava arrivare a due passi da un pezzo per scorgerlo.

Il piano d’operazione aveva stabilito che alle tre del pomeriggio tutte le batterie della zona aprissero il fuoco sul Cimone e sull’estremità dell’altipiano di Tonezza. Decine di migliaia di proiettili dovevano tempestare e sconvolgere quella vetta in dodici ore di fuoco. Neppure sull’Isonzo avevamo mai preparato finora un bombardamento così intenso, con una così vasta concentrazione di mezzi. Le posizioni