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Pagina:Barzini - Dal Trentino al Carso, 1917.djvu/98

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88 il baluardo ripreso


permetteva loro di sporgersi. Incominciarono però a lanciare granate a mano. I proiettili rotolavano giù rimbalzando sulle anfrattuosità, la miccia accesa, e scoppiavano qua e là sui dirupi. Il lavoro continuò fra le detonazioni e il fumo; le scale furono assicurate, e dei tiratori si appostarono per difenderle. Per queste scale l’assalto frontale doveva salire.

Un battaglione alpino, composto in gran parte di piemontesi, era destinato a questo attacco. Era un vecchio, superbo battaglione, fatto d’uomini maturi, di atleti baffuti, provati in innumerevoli combattimenti, quasi tutti tornati al fuoco dopo essere stati feriti una, due, tre volte, gente che ha lasciato un po’ di sangue sulle nevi, sui ghiacci e sulle rocce di decine di vette. Mentre gli alpini dovevano attaccare la vetta, dei reparti più numerosi di fanteria dovevano attaccare i fianchi del Cimone, dalla parte dell’Astice a oriente e dalla parte del Rio Freddo a occidente.

Dal Rio Freddo si può salire al Cimone per due sentieruoli tortuosi, scoscesi, che si trasformano in vere scalinate in certi punti, e sui quali non si passa che uno alla volta. Dall’Astico invece, con infinite giravolte, sale all’altipiano la strada carrozzabile che conduce a Tonezza, tutta a tourniquets; ma il nemico l’ha distrutta con le mine, e i serpeggiamenti bianchi della via appaiono tagliati dalle frane, inac—