Pagina:Barzini - La metà del mondo vista da un'automobile, Milano, Hoepli, 1908.djvu/162

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116 capitolo vi.


— Come! — esclamammo. — Un collezionista d’autografi?

— Volere scrittura — ci avvertì Pietro — per mostrare al Ta Tsumba che avere obbedito suo comando.

— Ah, un ben servito allora!

E scrivemmo, il Principe ed io, tutto il bene possibile ed immaginabile dell’uomo magro, il quale intanto mangiava tranquillamente le sue uova e beveva il suo thè.

I coolies arrivarono, con cinque muli, e pochi momenti dopo vedevamo abbassarsi ai nostri piedi allontanandosi la valle dello Shi-shan-ho. Ci arrampicavamo sulle giogaie dell’ultima Gran Muraglia.

Non rimangono che le torri dell’immensa Wan-li-chang-cheng. Fra l’una e l’altra si distende un lungo cumulo di sassi, ed è quanto resta delle mura cadute. I muraglioni avevano l’anima di fango; le torri di pietra. Per questo dopo ventun secoli di vita esse sono ancora salde ai loro posti di vedetta. Sorsero duecento anni prima di Cristo. Da allora sono scomparse tante città, si sono dispersi dei popoli, si sono estinte delle civiltà, degl’imperi sono caduti, ed esse rimangono. Rimangono soprattutto perchè sono inutili. Al mondo resiste meravigliosamente tutto ciò che è inutile e superfluo, poichè nessuno lo tocca.

Quelle torri, così isolate, sembrano, da lontano, sulla nudità della montagna, prodigiosamente grandi. S’innalzano a distanze eguali, a distanze che possono essere superate dalla voce umana; furono disposte così perchè il grido delle scolte corresse lungo la loro catena. Una torre chiamava l’altra nella notte.

L’automobile trainata percorreva un sentiero tortuoso, ma il Principe ed io scalavamo in linea retta le roccie finchè arrivammo alle prime torri. Lassù ci fermammo pieni di ammirazione per il sublime spettacolo che si apriva avanti a noi nella limpidezza luminosa del mattino. Vedevamo lo sterminato altipiano mongolo, abbastanza lontano da conservare ancora un’apparenza d’oceano, interrompersi a ponente, cessare improvvisamente con un ciglione a picco sui piani sottostanti del Hwang-ho: cadeva giù come una