Pagina:Barzini - La metà del mondo vista da un'automobile, Milano, Hoepli, 1908.djvu/161

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per le praterie mongole 115


testa d’un esercito per quella stessa strada che noi percorrevamo in automobile, si fermò sotto al bizzarro castello creato dal caso, e come riconoscendovi un significato guerresco ed ostile, tolse una freccia alla faretra, l’adattò alla corda dell’arco, e la scoccò. La freccia colpì in pieno la roccia. La conseguenza di quel colpo imperiale? Il buco. Quell’apertura da ponte non è altro che la ferita alla montagna fatta da Jingis-Khan. È vero che la ferita è tanto grande che un uomo a cavallo, e forse anche in automobile potrebbe passarvi attraverso, ma chi può mai dire quanto fossero grosse le freccie di Jingis-Khan e quanto potenti le sue braccia?

Alla fine la valle si restringe e il fiume diventa burrone. Cominciava l’ultima ascensione. Ai piedi della salita aspettammo i coolies, che partiti alla notte da Kalgan non erano ancora giunti. Le altre automobili, rimaste indietro, ci seguivano lentamente. Osservavamo un vecchio tempio a mezza costa, quando vedemmo comparire per il sentiero sassoso un curioso individuo. Era un cinese alto alto, magro magro, una specie di grossa mummia disseccata, che portava accuratamente un vassoio pieno d’uova, una theiera, delle coppe, e che vistosi guardato ci faceva dei grandi inchini avvicinandosi. Il suo viso giallo e ossuto aveva un largo sorriso da teschio. Egli depose in terra il vassoio, versò il thè nelle coppe e ce le offrì, poi ci offrì le uova, e ci diede il benvenuto. Dovevamo al Ta Tsumba l’onore della sua conoscenza. Il nostro buon amico aveva mandato alle autorità dei paesi che noi avremmo attraversato l’ordine di renderci omaggio. Ma in quelle regioni mezzo deserte, di autorità non ve n’era che una, e precisamente quella brava mummia sorridente, capo di una piccola e povera popolazione annidata sulla montagna. Egli era disceso all’alba fino al piccolo tempio, dove s’era messo a far bollire l’acqua del thè, a cuocere le uova e ad aspettarci. Quando ci aveva visti da lontano, s’era precipitato con le sue lunghe gambe ad incontrarci. Salutammo cordialmente l’autorità, e l’autorità si affrettò a presentarci un taccuino facendo il gesto di scriverci sopra.