Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
urga | 209 |
menti dopo era domata, e finiva la discesa docilmente, ubbidiente alla volontà del guidatore.
La fuga non era durata più di venti secondi, ma ci era sembrata senza fine. Io l’avevo seguita a piedi, correndo e gridando senza sapere bene perchè: Ferma! Ferma! — come se la migliore volontà di tutti non fosse quella di fermare. Raggiunsi l’automobile in fondo alla strada. La macchina ferma spandeva un tanfo d’olio bruciato, e un sommesso rumore di frittura.
— Questa volta l’abbiamo scampata bella! — esclamò Ettore scendendo dal suo sedile e asciugandosi il sudore. — Io non so come sono arrivato qui. Un miracolo! — e volgendosi a me sorridendo: — Ha veduto che salti?
— Altro che! Pareva che volesse sfasciarsi ogni cosa.
— E io lo credevo. C’è stato un momento che ho visto tutto perduto. Pensavo: qui andiamo a finire a pezzi!
— Quale momento?
— Ha osservato che a mezza costa ho voltato un po’ a destra?
— Sì.
— Allora. Ho detto: O va o spacca!
— È andata! Ma i freni non agivano?
— Agiscono, sì, ma per mantenerli bene bisogna metterci molto olio, e non fanno presa subito; scivolano. Per la strada vanno benissimo; ma queste sono strade? Abbiamo “fatto„ tutte le strade delle Alpi, è vero Eccellenza?, e non c’è mai successo niente di simile.
Il Principe sorrideva, guardando la via percorsa in modo così insolito, e pareva tutto assorto a fissarne i ricordi. Vi è sempre una specie di letizia dopo il pericolo. Poi si scosse esclamando:
— Andiamo. È tardi. Stasera vorrei accampare in riva all’Iro.
La macchina fu accuratamente esaminata. Non presentava alcun danno. Ricomponemmo e rilegammo il carico, e, ripresi i nostri posti, partimmo velocemente.