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230 capitolo x.


di provocare la fusione di qualche pezzo della macchina, concedevamo al motore dei lunghi riposi. Esso tramandava un calore che si sentiva da lontano, e aspettavamo volta a volta che si freddasse. Intanto, durante i suoi riposi, lavoravamo noi; preparavamo la strada avanti le ruote a colpi di pala, e toglievamo così della sabbia fino a raggiungere uno strato umidiccio più duro. E poi avanti di nuovo; aiutavamo gli sforzi della macchina con le nostre spinte. Avanzavamo centimetro a centimetro. Ci volle un’ora a percorrere mezzo chilometro, ed arrivammo in cima ad una ripida discesa.

A mezza costa ci apparve Kiakhta. Era a due chilometri da noi, affondata in una valle per ripararsi dai venti. Perciò non l’avevamo vista prima. Si nascondeva, la superba!

Ne ricevemmo veramente l’impressione d’una grandiosità superba. Le immagini s’ingigantivano nella nostra fantasia. La prima visione di quella cittadina siberiana aveva la potenza d’un sogno di bellezza. Vedevamo dei campanili aguzzi, delle case bianche che avevano finestre, dei tetti con dei comignoli, degli opifici dalle alte ciminiere, tutte cose mirabili, quasi incredibili. Quelle forme ci stupivano, perchè ci erano familiari. Pareva che l’Europa ci fosse venuta ad incontrare fino alla Mongolia.

Eravamo arrivati dunque! Ne provavamo una gioia e una fierezza. Guardavamo quella città che biancheggiava fra il verde degli alberi, e che ci pareva tanto grande, con una specie di orgoglio, come se l’avessimo conquistata. L’aspettavamo ansiosamente, e pure la sua apparizione fu una sorpresa, e il suo aspetto una rivelazione.

Da quel momento la parola Kiakhta s’impresse indelebilmente nella mente d’Ettore, e vi divise con Kalgan l’onore di designare tutte le città dell’Oriente russo.

Al di qua di Kiakhta si stende una bassa e disordinata moltitudine di casette; è Maimachen, l’ultima città cinese. Urga è tripla, e Kiakhta è doppia. Le casette di Maimachen si affollano, sul confine dei due imperi, contro agli edifici slavi, quasi per op-