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384 capitolo xvii.


folla di mujik in abiti domenicali presenziava dall’altra riva la breve navigazione. La nostra apparenza e il nostro modo di locomozione sembrarono sommamente sospetti non so a quale autorità del villaggio vicino. Era un mezzo contadino col berretto da funzionario, il quale profittò d’una nostra fermata, causata dal bisogno di metter acqua nel radiatore, per andarsi a munire d’un registro e tornare di corsa. Ci stavamo rimettendo in cammino.

— Fermatevi! — ci gridò l’uomo con accento imperioso.

Lo guardammo con un’indifferenza che dovette ferire molto la sua autorità, perchè gridò indignato:

— Fermatevi, vi dico! Fermatevi!

No. Conoscevamo già molti di quei piccoli despoti da villaggio che si dànno l’aria di dirigere anche il corso dei fiumi e la fioritura dei prati, che profittano del loro potere per creare tutte le noie possibili al prossimo, ignoranti ed avidi, che in altre occasioni ci avevano domandato nome, cognome, qualità, nazionalità, spiegazioni d’ogni genere, trascrivendo solennemente le risposte sopra un taccuino e guardandoci con la severità di giudici. Uno straniero, per il fatto che passa sul loro territorio, lo trattano da colpevole. No, il brav’uomo poteva pure gridare; noi non intendevamo aumentare il numero delle fermate impreviste, subire uno stupido interrogatorio, mostrare le carte, e dare una soddisfazione a quel microtiranno.

Egli si mise a correrci dietro con tutte le forze, gridando:

— Fermatevi, in nome della legge!

Io mi alzai in piedi, mi volsi, e seriamente, gravemente, affacciandomi al disopra dei bagagli, feci al nostro persecutore la più orribile smorfia imparata nei lontani anni della scuola elementare. Egli si fermò sconcertato da tanto ardire; e noi ci allontanammo lietamente.

Alle quattro scorgemmo Omsk, in una pianura sabbiosa disseminata di giunchi a ciuffi. Fuori della città s’innalzavano grandi e singolari mulini a vento, con le ali numerose disposte come raggi in ruote gigantesche, che facevano pensare a strane