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Pagina:Barzini - La metà del mondo vista da un'automobile, Milano, Hoepli, 1908.djvu/568

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502 capitolo xxiii.


Parigi è lontana 169 chilometri.

Traversiamo la Marna, calma e serena; come la Mosa, a Vermeil. E finalmente cessiamo dal camminare verso il sud. Da Pietroburgo non facciamo altro. Adesso voltiamo definitivamente la faccia verso Parigi. Non devieremo più.

Alle quattro e mezza ci fermiamo a Château-Thierry a bere un bicchiere di birra, senza scendere dall’automobile. Siamo contornati da una folla di buoni provinciali piombati in ammirazione silenziosa e rispettosa. “C’est la course!„ — sentiamo esclamare. — La course: non si chiama che così il nostro viaggio.

Un vecchio signore decorato, dall’aria di militare in ritiro, intento ad innaffiare con una pompa, un suo giardinetto, ode il vocìo, ci guarda, lascia cadere la pompa noncurante dei danni che il getto d’acqua arreca, e viene gravemente a stringere la mano a Borghese, poi torna con eguale gravità al suo innaffiamento, soddisfatto del dovere compiuto.

Attraversiamo La Ferté alle cinque e dieci. Il nome di Parigi comincia a comparire sulle tabelle stradali con la freccia che ne indica la direzione.

Parigi è lontana 78 chilometri.

A mano a mano che ci avviciniamo i saluti si fanno più numerosi, anche per la campagna, più vivaci, più cordiali. Vi è in essi un’affettuosità di popolo. Le donne vengono sulle soglie, si affacciano alle finestre sorridenti appena odono uno squillare di tromba. Gli operai lasciano il lavoro per correre a vedere, tenendo ancora in mano martelli e altri ordigni. Noi dobbiamo giungere soltanto a Meaux, e passarvi la notte. L’ingresso a Parigi è fissato per l’indomani, 10 Agosto, alle quattro e mezza del pomeriggio. Il Comitato della corsa ha così disposto. Il punto di arrivo sarà l’ufficio del Matin.

Ecco Meaux. Vi giungiamo per un grande viale alberato. Mentre stiamo per entrare fra le prime case, una guardia daziaria, da mezzo alla strada, ci fa degli energici segnali. Borghese frena, e le domanda: