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gli urali 411


modesta colazione, che era già coperta di mota. Quell’interminabile rovesciarsi di fango su di noi, che ci penetrava persino nella bocca e negli occhi, ci avviliva, ci umiliava, c’irritava come un dispetto ingiurioso. Ci sentivamo stanchi. Ordinariamente ci avveniva di sentire di più la stanchezza quando ci accorgevamo di essere molto lontani dalla tappa prestabilita; era un fenomeno curioso; si può dire che eravamo meno stanchi per la strada fatta che per la strada da fare. E quel giorno ne avevamo da fare molta della strada. Dovevamo arrivare a Perm, alla sede del governatorato, lontana circa 394 chilometri da Jekaterinburg. Alle quattro del pomeriggio non avevamo percorso che 293 chilometri.

Più tardi la pioggia cessò. Potemmo accelerare la velocità. Nella monotonia della strada una sonnolenza invincibile ci aggravava le palpebre, quando una singolare visione ci ridestò. Erano cupole dorate, argentate, smaltate, grandi e piccole, campanili di ogni forma, che si aggruppavano al disopra d’una piccola città: Kungur. Kungur presenta una delle più belle visioni di città orientale. Ha il profilo d’un paese da leggenda, con tutto quello scintillio di metalli preziosi. Deve essere un gran santuario, qualche centro della fede, perchè all’apparenza ha più chiese che case. Per le strade abbondano le imagini sacre, i tabernacoli, le cappelle votive, la cui penombra interna è costellata da fiammelle di lampade e di candele. I mujik passando si scoprono e si genuflettono.

Dopo alcune ore avemmo un’altra sorpresa religiosa: vedemmo il primo minareto tartaro a Kojonowa, a trenta verste da Perm. Ma era un minareto conciliativo, dall’aria quasi di campanile, con una mezzaluna invece della croce, e dominante una moschea di legno con delle finestre da isba; una moschea russificata, insomma. Soltanto al sud di Kazan, nella provincia di Samara, s’incontrano quei bei minareti bianchi e snelli, caratteristici, che l’Islam ha piantato nelle sue regioni come delle candide lance in segno di conquista.

I tartari accorrevano festosamente a vederci, e ci sorride-