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l'attacco austriaco al pal piccolo 130


sperava il nemico, ma era anche il carattere della sua sconfitta, umiliante, subita su posizioni inaccessibili, avendo sopra di noi una superiorità di forze e di mezzi. I comandi austriaci erano furiosi e reiteravano l’ordine di riprendere ad ogni costo quei torrioni rocciosi, che pochi alpini avevano conquistato scalando e baionettando. La nostra occupazione era chiamata nelle proclamazioni austriache alle truppe «un'onta da lavare». Gli alpini sono così odiati dal nemico, che, secondo le deposizioni dei prigionieri, vi è l’ordine di non dar loro quartiere.

Nel disperato tentativo attuale degli austriaci di prendere l’offensiva su tutta la nostra fronte, non è stato dimenticato il Passo di Monte Croce. L’attività del nemico non ha preso l’aspetto di un attacco generale. Per ottenere facili resultati, sia pure superficiali, esso ha organizzato l’azione isolata contro i punti che apparivano i più deboli della linea nostra. Nel primo periodo della guerra l’impulso offensivo ci ha trascinati su certe posizioni che non avremmo mai scelto per la difesa, posizioni di transito nelle quali abbiamo dovuto far sosta e che apparentemente male si prestano ad una sicura resistenza. Perciò l’attacco austriaco ha puntato su Oslavia, poi sul Rombon, poi sul Grafenberg. Nel programma nemico, miseramente fallito all’attuazione, vi era la riconquista della testata del Bût.