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FRA LE NEVI DEL KOZLIAK

Marzo.

Per salire alle creste del Monte Nero, poco sotto alla sella Kozliak (l’avvallatura che nella lontananza figura il cavo delle ciglia nel gigantesco profilo cesareo della montagna) il sentiero attraversava due canaloni. Era tracciato di sbieco nel loro pendìo vertiginoso, e solidi parapetti, fatti con tronchi di pino, lo bordavano dal lato del precipizio. Ora i tronchi di pino emergono qua e là dalla neve in fondo al declivio, trascinati laggiù dalle valanghe, come del legname ammucchiato confusamente da una piena, e il sentiero è scomparso sotto a strati inverosimili di ghiaccio. Si ascende sulla molle superficie scoscesa del nevaio, cinque o sei metri più in alto del solido terreno.

Delle zolle bianche si distaccano ad ogni passo e rotolano giù, leggere, soffici, senza rumore. Non si osa quasi seguire con lo sguardo la loro caduta nel baratro bianco, lungo il grande piano inclinato che pare senza fine, che sfuma e si perde in ombre azzurrastre di nevi e in cineree brume di selve lontane. Si va silenziosi, raccolti, lentamente, attenti a porre