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192 la montagna dalle folgori


pieno di normalità come un paese qualunque del mondo, vicino alla vita sociale, desiderabile. In montagna, anche in prossimità della vetta, tutta la strada percorsa appare sempre più breve, più facile, più sicura di quella che ci aspetta, misteriosa e indefinita.


Si sale alla cima estrema del Monte Nero lungo il bordo occidentale della spalla, tagliato a picco. Si va su, per dir così, sull'orlo del tappeto bianco. Si ascende a zig-zag costeggiando la cornice di ghiaccio che sporge sulla cresta delle immani pareti, e che pare si affacci nel vuoto, turgida, spessa, strapiombante. Bisogna passare ogni momento a pochi metri dal margine, tondeggiante con una mollezza di stoffa. È qui che la tormenta fa più vittime.

Chi è sorpreso in cammino dalla bufera che sorge spesso improvvisa e inattesa, stordito, agghiacciato, sperduto nel caos di gelo, staffilato dai turbini di nevischio che non lasciano aprire gli occhi, appesantito dall'accumularsi della neve che il vento gli lancia addosso a masse che sembrano le palate di un affossatore gigante, qualche volta è condotto da un’illusione fatale a precipitare nel baratro. Con sforzo inaudito, con tutta la sua volontà tenebrata, egli volge il passo faticoso, lentissimo, pesante, verso la morte.

E pure la salvezza sembrerebbe facile. Ogni tre o quattrocento metri vi è un posto di col-