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218 la guerra nell’aria


L’apparecchio aggressore intanto, piombando col suo volo librato, era passato sotto al Caproni, trasversalmente, e tornava indietro, riprendeva altezza. Ripeteva l’attacco con la stessa manovra.

È arrivata la seconda scarica della mitragliatrice nemica.

Un’altra grandine di pallottole ha percosso la prora.

Il fucile automatico italiano ha sparato tre o quattro colpi, poi ha taciuto.

Alla seconda raffica le mani dell’ufficiale osservatore sono piombate giù dai manubri della mitragliatrice. Egli ha rovesciato la testa indietro, e scivolando dal suo seggiolino, è caduto riverso.

Il pilota, dietro a lui, lo ha scosso, ma ha riconosciuto la morte nel suo sguardo spento. Una palla alla tempia lo aveva fulminato.

Il pilota ferito, restato solo al governo dell’apparecchio, si è concentrato tutto nuovamente nella manovra, angosciato ma impavido.

Un istante dopo il collega che era andato nella passerella dei motori, gli è apparso vicino. Aveva avuto un proiettile nella spalla. Era pallido, barcollante, si reggeva la mano del lato ferito con l’altra mano, e questo suo gesto aveva un’esprimibile espressione invocante. Guardava fisso l’amico, fraternamente, come volesse dirgli qualche cosa. Ma non parlava che con quello sguardo dolce, profondo, solenne, intenso.