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nelle acque del nemico 271


trincea, di una trincea pensile appoggiata all’albero di prua e sorvegliante il mare da feritoie vetrate. Vi penetra appena un riflesso di stelle. Soltanto nella chiesuola della bussola un chiarore scende sul quadrante, e fa pensare alla luce agonizzante di una lampada votiva nel tabernacolo di un tempio. Su quella luce il timoniere, fermo alla ruota, tiene fisso lo sguardo. Vicino a lui, ufficiali e nocchieri, immobili al parapetto, scrutano il mare. Da alcuni minuti si naviga nelle acque del nemico.

Dovrebbe essere vicina la terra austriaca. Ma nulla appare nella profondità tenebrosa dell’orizzonte, sulla quale si indovina l’agitazione sterminata delle onde come una moltitudine oscura e vivente. Nulla vi appare, ma le pupille attente e stanche tutto vi scorgono. Sono profili vaghi di monti che si trasfigurano, parvenze evanescenti di isole, ombre che ondulano, masse che navigano, fluide allucinazioni che sorgono nella notte troppo guardata, finché, gli occhi affaticati si chiudono per un istante. Al riaprirli la distesa delle acque si rivela deserta. Nessuna terra ancora.

Da un momento all’altro sarà in vista. Si aspetta per un tempo enorme, per delle epoche che l’orologio, faticosamente decifrato, misura soltanto come minuti. I minuti tuttavia passano: cinque, dieci, dodici, quindici.... Nessuna terra. E si ha improvvisamente l’impressione assurda che la costa si ritragga, che fugga