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278 lettere dal mare


rapide e silenti da torpedine a torpedine. Un trillo più lungo annunzia la fine. Non sono trascorsi due minuti in tutto. Due minuti sono bastati per sbarrare il passo, per tendere nel mare una catena di morte lunga varii chilometri.

S’intravvedono le prore delle altre navi convergere, affiancarsi, avanzare di fronte sfuggendo alla zona minata. E tutto ad un tratto riprende il rombo più violento dei motori che scuote lo scafo; le macchine salgono alla potenza massima; la scia si gonfia bianca e tumultuosa come una cateratta, e lungo i fianchi del battello il mare solcato con impeto solleva due muraglie liquide, nere, fuggenti, striate dalla veemenza.


La missione è compiuta. Bisogna non lasciarsi cogliere da sorprese fra le insenature e i canali interni. La folla addormentata e prodigiosa delle isole, dei promontorii, degli scogli, scorre, ripassa, ma diversa, irriconoscibile sotto aspetti nuovi. Sembra un’altra. Delle luci brillano improvvisamente basse sopra una riva. Il cannocchiale le rivela per finestre. Un paesello forse che si sveglia. Ecco il mare aperto. Le ultime terre si ingolfano nelle tenebre, sfumano all’orizzonte, e insensibilmente la nave comincia ad esser presa da ondate più profonde, le ondate del largo.

Un’ora dopo le vedette segnalano la pre-