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a fior d’onda 281

mone. Fermi, fanno massa con la piccola torre nera e panciuta, che prende il profilo animato di quei piedistalli della statuaria moderna popolati di figure umane in altorilievo. Sul gruppo, brillano a intermittenza le scintille azzurre del Marconi che chiama, e mandano uno stridore da insetti, come un canto di grilli.

— Un’altra vampa!... Ancora un’altra!

Lo stridore è cessato, e dall’angusto boccaporto di prua, il cui portello rotondo si solleva come la valva di una enorme conchiglia, sporge una testa. È il telegrafista.

— Signor comandante — egli dice — non posso comunicare. Troppe navi parlano adesso.

— Quante? Sono nostre? A che distanza?

— Sono tre che parlano, nostre, ad una quarantina di miglia.

Sono navi di squadriglia in crociera. Si sono avute notizie che possono far supporre nel nemico l’intenzione di sortire stanotte, ed è aspettato. Sommergibili e siluranti stanno alla posta. I balenii si rinnovano all’orizzonte.

— Che sia il cannone? — chiede come fra sè il secondo ufficiale. — Sono in «quella» direzione.

L’osservazione si fa più intensa. Tutti ascoltano. Non si ode che il fruscìo dell’acqua lungo i bordi e il palpito dei motori che arriva soffocato e remoto dalle profondità del battello.

— No — esclama il comandante dopo una