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298 lettere dal mare


zi. Con la percezione limpida, fredda, atroce dei momenti supremi nei quali si assiste al proprio dramma con anima da spettatore, egli aveva giudicato il lancio perfetto, e lo aveva detto. Il proiettile fluttuante veniva diritto sul sommergibile.

Tutti intorno al comandante avevano compreso il significato delle sue parole e del suo gesto e attendevano in una immobilità mar- morea. Trascorsero quattro o cinque secondi. Si udì un rombo che si avvicinava: il siluro.

Arrivò impetuoso. Passò sopra, a qualche centimetro appena dal ponte. Percorse quasi tutta la lunghezza del sommergibile da poppa a prora, un po’ di traverso. Urtò leggermente col fianco la torretta a sinistra e non esplose. Mandava il fragore profondo ed eguale di un treno sopra un ponte metallico. Il rombo si allontanò.

L’equipaggio continuò le sue manovre in silenzio come se non avesse sentito passare su di sè il soffio della morte. Quando tornò a sporgere il suo occhio sull’acqua, dopo un’ora di navigazione in profondità, il «V.L.A.» non vide che un torbido chiarore, una nebbia luminosa: era accecato. Una scheggia di granata aveva guastato il periscopio.

Il sole deve essere già alto.

Il suo splendore penetra il mare. L’interno della torretta non è più buio. Si naviga a venti metri dalla superfice, e dai vetri ret-