Pagina:Barzini - Sui monti, nel cielo e nel mare. La guerra d'Italia (gennaio-giugno 1916), 1917.djvu/320

Da Wikisource.
310 lettere dal mare


Sono fertili in ruses di guerra i tedeschi, hanno l’ingegnosità barbara, la furberia di pellirosse studiose passate per l’università. Ma ora il fiotto di nafta non basta più, il sotterfugio è scoperto, l’esperienza ha fatto conoscere la quantità di sangue che un sommergibile versa morendo, che è enorme, e la macchia nera non serve che a rivelare meglio la posizione del nemico. Il getto di nafta attira le bombe.

Il «V.L.A.» profitta dell’ora per avvicinare la costa. Le vedette hanno adesso il sole di fronte, il mare è abbagliante di riflessi, il sottomarino si sente protetto da un manto di luce. Dall’alba non ha visto una nave.

Nulla può dare un’idea dell’accasciante monotonia della lunga, attenta ricerca nella solitudine. Si finisce per avere una non so quale ossessione del deserto, un senso di esasperante oppressione, tutto appare preferibile al vuoto, al niente assoluto. Meglio il bombardamento, la persecuzione, sentirsi visti, udire il rombo delle siluranti sulla testa, affiorare in improvvisi e minacciosi silenzi con i tubi di lancio aperti, pronti a distruggere o ad essere distrutti, meglio vivere i più terribili istanti di pericolo e di ebbrezza, che l’attesa perenne e inutile, l’agguato eterno e vano.

È questo sentimento che spinge spesso i sommergibili ad ardimenti insensati. All'inizio della fazione vanno cauti, pazienti nel desiderio di un incontro, pieni di speranza. Le ore si