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332 lettere dal mare


i suoi lumi formava una costellazione bizzarra sull’acqua immota.

Le siluranti si avvicinavano.

La nave nemica era ancora lontana un tre quarti di miglio. Alla sinistra dei nostri si svolgeva ora la sponda, indefinita, sovrastata da un’ombra nebulosa di vegetazioni. Chi non avesse conosciuto la città non l’avrebbe indovinata. Essa veniva avanti lentamente. In qualche chiarore, diffuso, vago, isolato, si delineavano angoli di edifici. Ancora un poco, dei muri lievemente illuminati si facevano riconoscere. Ecco l’antico Konak, l’ex-reggia, col suo aspetto di vecchia villa rintonacata, che si solleva sugli alberi del giardino, folti, rigogliosi e neri. Dei fanali invisibili, nascosti dalle fronde, spandevano il loro quieto riflesso sulla facciata bianca del palazzotto, netta adesso, precisa. Era il loro chiarore che si intravvedeva lontano. Il resto della città dormiva nell’oscurità profonda. Solo il Konak, che ha conosciuto tutte le paure, pareva desto, animato, con una espressione di vigilanza taciturna, penetrante e ansiosa.

Le siluranti si avvicinavano.

Dei rumori imprecisabili venivano dalla riva e dal mare. Qualche voce lontana ha echeggiato. Sulle montagne e sulla spiaggia persistevano le luci di segnale bianche e rosse, fisse, costanti, ostinate, misteriose. Quella accesa alla testata del pontile aveva la violenza di una vampa di incendio.