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176 lo cunto de li cunti

fierro1, nè Grieco o acito2, nè Aprite le porte a povero farcone3.
Ma, venuta l’ora de nchire lo stefano, se mesero a tavola, e, magnato che appero, lo prencepe disse a Zeza, che se fosse portata da valente femmena ad accommenzare lo cunto sujo. Essa, che ne aveva tanta ncapo4, che jevano pe fora, chiammannole tutte a capitolo, sceuze pe lo meglio chisto, che ve dirraggio.



  1. Cfr. sopra n. 8, p. 172. Lo Sgruttendio riporta le parole più compiutamente: «Auciello, auciello, maneca de fierro, Fierro ferrato mo, che sì ncappato» (o. c., I, 5).
  2. Non ne ho nessun riscontro.
  3. Cfr. Lett. e G. I, 10. II Galiani: «Questa canzone si canta ancor’oggi, facendo un giuoco, in cui tutti si tengono per mano, girando in cerchio e lasciando uno in mezzo, il quale deve tentare di scappare, passando sotto le braccia di taluna di quelle coppie. Dopo cantati i sopradetti versi da colui, che sta in mezzo, il coro alza quanto più può le braccia, ma senza disgiungere le mani, e replica: Le porte stanno aperte, si farcone vale entrare. Se, in quel momento, a chi sta in mezzo riesce fuggire per uno di quei varchi prima che lo arrestino le braccia congiunte, che prontamente si abbassano ad attraversarglielo, vince; altrimenti, torna dentro e si continua il gioco. Ci pare giuoco antichissimo. Il nome di Falcone si dà a quel di mezzo, come se stesse rinchiuso in una gabbia» (Del dial. Napol. p. 118). È descritto, con molti particolari, in P. J. Rehfues, Gemählde von Neapel, Zürich, 1808, II, 86-90. Cfr. F. Novati, Madonna Pollaiola (in Arch. stud. trad. popol., IV, 1885, pp. 3-21).
  4. (EO) che aveva tan’ncapo.