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LXVI INTRODUZIONE

Ed è questo dei pochi sicuri monumenti dialettali del secolo XVI. Sulla fine del secolo, cominciò ad adoprarsi nelle commedie il dialetto napoletano, sia dai comici dell’arte nelle commedie improvvisate, sia nelle commedie premeditate 1. Ma, nel teatro, l’uso del dialetto lia ragioni tutte speciali.

Si scriveva, dunque, il dialetto napoletano già da varii secoli, ma, fino allora, o non era stato adoprato con intenzione artistica, o di un uso siffatto non c’erano se non casi isolati e timidi tentativi.

Ma, sul principio del secolo XVII, la letteratura dialettale, intenzionale e artistica, prende un grande slancio. Le ragioni di questo fatto furono parecchie, e di varia natura. Ma la principale è forse da riporsi in quella ricerca assidua di novità, ch’è il vero spirito motore di



    furono pubblicate la prima volta nella Collezione di tutti i poemi in lingua napoletana del Porcelli, T. XXIV (1789). Di Velardiniello discorse il Capasso (l. c., pp. 319-21), il quale ne pubblicò anche alcuni versi inediti del Giambattista Basile (III, i). Per la Farza dei Massari, a lui attribuita, cfr. Napoli Signorelli, Vicende della coltura, Nap., 1784-6, V, 357-8, e Croce, I teatri di Napoli, p. 28 n.

  1. Nella Vedova di G. B. Cini (Firenze, 1569), tra i varii dialetti appare anche il napoletano (cfr. Quadrio, o. c., III, II, pp. 71-218). Senza parlare dei personaggi buffi napoletani della commedia dell’arte {Coviello, Pascariello, Pulcinella, ecc.), nelle commedie scritte s’incontra un personaggio goffo, detto il Napoletano, che nasce negli ultimi anni del cinquecento, e del quale si seguono le trasformazioni, fino alle commedie del Cerlone (fine s. XVIII). Così negli Intrighi d’amore, attrib. al Tasso, nell’Anchora del Torelli, nelle Sprezzate Durezze del Glorizio, e nel Moro e nella Tabernaria del Porta. Cfr. Croce, o. c., pp. 75-80 e passim.