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lxxxii introduzione

sta Tiorba: un canzoniere, ch’è una parodia dei canzonieri italiani del seicento. Tutte le trovate allora solite, i paragoni, le immagini, le movenze dei periodi, le frasi, sono contraffatti in questi sonetti, che appartengono al genere di quello, famoso, del Berni: Chiome d’argento, fine, irte, ed attorte! — Apriamo a caso uno dei canzonieri del seicento. Siano, per es., le Poesie di Marcello Giovanetti, compartite in affettuose, boschereccie, ecc. ecc. (In Roma, mdcxxvi). E, scorrendo il libro, ecco venirci innanzi sonetti, con titoli come questi: Bella Donna con macchie rosse nel volto; Bella Donna con veste rossa, o nera ricamata a stelle d’oro, o azzurra; Bella Guercia; Bella Serva; Bella Ninfa dagli occhi bianchi; ecc. ecc.

E lo Sgruttendio scrive: A la bella Tricchetraccara; A la bella Guattara; A la bella Trippajola; A la bella Tavernara; A la bella Jettacantare; A la bella Pedocchiosa; A la bella Shiaccata; ecc. ecc.! — E ogni conoscitore della letteratura seicentistica apprezzerà la finezza di parodie, come questa, intitolata:

Paraggio fra isso,
e lo sorece ncappato a lo mastrillo de Cecca
.


La sciorta mia e toja, o sorecillo,
     Tutt’è na cosa, e simmo duje pacchiane!
     Tu ghist’a chell’ addore de casillo,
     Io a Cecca, che de st’armo è caso e pane;

Tu faje zio-zio, ed io sospiro e strillo,
     Tu muzzeche ssi fierre, ed io sti mane;
     Tu zumpe, io sauto, comm’a gatta o cane;
     Io senza libertà, tu a sso mastrillo!