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l’italianità del trentino e l’irredentismo italiano 171

cenni, opera proseguita da cento e cento militi oscuri, senza ambizione, senza speranza di compenso, ma la abbia mantenuta viva come pura fiamma d’amore, facendo sua ogni gioia della patria italiana, e con voi piangendo ogni sventura, ogni lutto; la abbia consacrata, al cospetto del mondo, con atto solenne, innalzando a Trento il monumento al Divino Poeta.

Che se a taluno paresse che troppo picciol cosa sia stata quella compiuta lassù dalle generazioni ultime che vissero fra un tramonto e un’alba di secolo, lasciate che qui ricordi nei suoi più superbi momenti quanto fecero quelle che vissero gli anni gloriosi del riscatto d’Italia.

Sento non solo di potere, ma di dover ricordare. All’alba del Risorgimento, nei tempi primi delle congiure scendeva dalle balze trentine Gustavo Modena a cospirare e ad ammonire. Fra il ’21 e il ’48, quando dagli atenei d’Italia poeti e letterati bandivan la parola della patria, erano con loro Giovanni Prati e il Gazzoletti e una pleiade d’altri illustri trentini. Nell’anno fatidico della grande riscossa nazionale vennero a noi dalle pianure lombarde i corpi franchi; ma dopo la sfortunata vicenda non scesero soli. Si unì ad essi quella Legione trentina che combattè in Lombardia, che difese Carlo Alberto a Novara e corse nel ’49 a portare il suo ultimo tributo di sangue alla morente repubblica di Roma. E più tardi nel ’52, nel ’53, quando l’Austria a caratteri di sangue scriveva la storia, scriveva la gloria di prete Tazzoli e dei martiri di Belfiore, eran con quei martiri nelle car-