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DEL BECCARIA xxxvii

sul libro intitolato Dei Delitti e delle Pene. Il principale scopo del critico si fu di convincere il N. A. d’aver offesa con quel trattato la religione e l’autorità sovrana, facendo, per così dire, l’anatomia d’ogni sua espressione, e traendo a significazione perversa tutto quanto stava ravvolto in certa oscurità. E quantunque egli protestasse di scrivere tranquillamente, non lasciò nondimeno di svillaneggiare il libro e l’autore con ogni sorta d’ingiuria.

Rimase atterrito il N. A. dalle accuse con cui il Facchinei avea tentato di aggravarlo. Non è già che nè la maniera d’argomentare del monaco, nè il suo stile potesse fargli ombra di timore, ma il libro avea per necessità troppi nemici, perchè l’autore non paventasse che molti si dichiarassero pel fanatico censore. Parevagli quindi che lo aspettasse un processo come eretico, o come nemico della pubblica podestà, quando colla risposta ponesse in maggior luce le proprie opinioni. Pietro Verri riconfortollo, ed anzi s’addossò l’incarico di scrivere in nome dell’amico l’apologia di lui. Essa fu composta nel solo spazio di quattro giorni, avendo servito d’aiuto al fratello il cavaliere Alessandro Verri. Il giorno 15 gennaio del 1765 era venuto alle mani del Beccaria e degli amici il libro del Facchinei, e di già il giorno 21 dello stesso mese l’apologia venne spedita a Lugano, ove si stampò con somma sollecitudine. Essa porta per titolo: Risposta ad uno scritto che s’intitola: Note ed osseivazioni sul libro Dei Delitti e delle Pene. Quantunque codesta operetta fosse composta in così breve