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mescolando cosí la religione alla politica, e del piú gran fatto politico della storia italiana in quel secolo, giudicando esclusivamente sotto il rispetto religioso, che non c’entrava per niente; e questo in una corrispondenza diplomatica, cioè essenzialmente politica. Noi crediamo che la piú grande condanna al potere temporale dei papi verrebbe dalla pubblicazione delle nunziature, dove vedrebbonsi sempre mescolati e confusi gli interessi politici coi religiosi».

L’Acquarone, che, come abbiamo detto, continua la recensione iniziata dal Bartoli, viene anch’egli a considerare la personalitá ed il compito del Bentivoglio come nunzio in Francia, e scrive a tal proposito: «È un vasto e molteplice campo; e vi si vede il nunzio non dimenticarsi mai né mai alterarsi; e conservarvisi sempre, nello stile come nelle proposte, uguale e uniforme; sempre vigile, attento, intelligente nel cogliere le circostanze anche minime de’ fatti, onde si potesse valere il proprio governo; e giustamente apprezzare personaggi diversi co’ quali avesse a passare uffici, o che venissero spediti in Roma, o che fossero elevati a qualche carica importante nel regno»; e riprende poi, a proposito piú particolarmente delle lettere diplomatiche ultime, pubblicate nel III e IV volume del De Steffani: «...a noi pare che il nunzio qualche volta si risenta della caldezza e dell’impeto da lui notato nei francesi; come pure delle loro facili mutazioni; mentre invece il segretario di stato mostrasi sicuro, misurato, padrone sempre di esprimere quanto e come vuole il proprio pensiero: nel contegno dei quali due uomini, c’è appunto la differenza che corre tra Parigi e Roma; e vi si troverebbe la conferma della teoria di Montesquieu, sull’influenza dei climi». E continua l’Acquarone considerando ancor piú ampiamente: «Roma, colla protesta in Germania, lo scisma in Inghilterra, gli Ugonotti in Francia, poteva poco cimentarsi a nulla intraprendere. Essa aveva a tenersi in uno stato di aspettazione; aveva a invigilare ogni modo e ogni occasione per potersi rifare di quello che gli era sfuggito, o adoperarsi almeno che non gliene sfuggisse ognora di piú. La sua politica era quindi doppia, sospettosa, d’astensione e negativa d’ogni idea e di ogni proposito forte e operoso» (1.

  1. Per piú ampie notizie sulla figura del Bentivoglio come diplomatico si veda ora R. di Tucci, Il card. Guido Bentivoglio e i suoi rapporti con la repubblica di Genova (Genova, Emiliano degli Orfini, ed., 1934).