Pagina:Berchet, Giovanni – Poesie, 1911 – BEIC 1754029.djvu/385

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Col ditin, colla falda del saio, die’ nel monte lá un picchio leggero: dentro il monte la vergili vegghiava, e vedea del vegnente il pensiero. — Salve, o bella figliuola dell’ Elfo, che velata ancor mò te ne stai, per l’altissimo Iddio ti scongiuro, spiega i sogni, deh! tu, ch’io sognai. Mi parea su nel regno de’ cieli goder io la cittá tanto bella: la mia cara tenevami in braccio e cadea tra le nubi con ella. — Dice il sogno del regno de’ cieli che ottener la fanciulla t’ è in sorte; dice quel del cader fra le nubi che per lor venir devi tu a morte. — Se m’ è in sorte, se è fermo destino ch’io mi possa ottener la fanciulla, perir anche io dovessi per lei, il pensier della morte m’ è nulla. — E re Abor si fe’ crescer la chioma, e tagliar femminil vesticciuola; cosi andava al castel di re Svardo, come a apprender lavori di spola. Proprio quale di giovin donzella si fe’ Abore tagliar vesticciuola; cosi fuor cavalcava a re Svardo, per volergli ingannar la figliuola. Quando ei fu nel cortil del castello, la pelliccia a indossar si rattenne; poi su in sala lá innanzi alle dame e alle assai damigelle sen venne. — Dio vi salvi ! voi, nobili tutte, vaghe giovani e donne cortesi; te piú ch’altra, se pur qui ti trovi, bella figlia d’un re de’ danesi.