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222 | predica nona |
te: o cittadino, parla poco e fa’ bene; et anco ti dico: parla di rado. Anco Seneca ti disse: Intende libentius auribus audire, quam loqui: — Fa’ che tu attenda piuttosto a udire, che a parlare. Donna, vuoi piacere a tuo marito? — Sì — Or parla poco; non ciarlare, come molte fanno: — chia, chia, chia, chia, — che mai non si ristanno. O elli è mal mendo1 una parlatrice! Noi aviamo che sette volte parlò la Vergine Maria in tutto il tempo della sua vita, e non più. Io non dico che ella non parlasse mai più; dico che di ciò che Ella parlò, in tutto2 noi non aviamo di sette volte. Anco ti dico, terza cosa, che tu parli basso. Dice che tu parli piano; ma questo parlare piano non è detto a noi predicatori, chè a noi ci è detto: Clama, ne cesses, et quasi tuba extolle3 vocem tuam. Elli ci è comandato a noi predicatori, che noi gridiamo forte come una tromba a sgridarvi per farvi astenere da’ vostri peccati. Doh! tu debbi sapere che a volere riprèndare uno peccato, vi so’ più vie che una. Chè vediamo questo tuttodì, che una riprensione più a uno modo che a un altro è sufficiente a farlo rimanere dal peccato; che a tale secolare se li farà una reprensione pia,4 con buone ragioni, con buoni modi, che non sarà a sgridarlo; che so’ molti che ne farebero di peggio. E però si vuole considerare molte volte la persona e anco il tempo, e con modo piacevole, non sgridarlo, acciò che non faci peggio.
Terza considerazione si chiama fondazione. Dove è fondata la lingua? Doh, hai tu veduta la lingua del porco come ella sta? Così sta la nostra lingua attacata al cuore.