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122 LA TESTA DELLA VIPERA

per lampeggiare in quei certi cupidi sguardi. Matilde sentì una volta come una fiamma passarle sugli occhî: era uno di quei lampi delle pupille d’Emilio, che questi non aveva avuto tempo di spegnere, di riparare dietro le palpebre, sì improvvisamente ella s’era volta verso di lui.

Un gran turbamento invase l’anima della giovane donna; di colpo rinacquero in lei tutti i sospetti d’un tempo: la si fece subito nel contegno più fredda e più fiera, tenne sempre a’ suoi fianchi i bambini. Emilio non mostrò di accorgersene.

Alla fine del pranzo, al padrino che si lamentava della insistenza di certi incomodi, Emilio disse:

— Ciò proviene dalle notti insonni che lei passa. Quella pozione calmante ch’io le ho ordinato non le fa più effetto?

— Poco, rispose il padre di Matilde. Mi dà una buona calma per qualche ora, ma il sonno non viene, e a mano mano si ridesta l’agitazione.

— Vuol dire che il calmante è troppo blando: ne rinforzerò la dose. Questa notte voglio che ella dorma saporitamente d’un sonno solo fino alla mattina: e vedrà domani come se ne sentirà bene.

— Bravo! Ne ho proprio bisogno.

La sera Emilio fece la solita partita a scacchi col padrino. Alle nove Matilde andò a mettere a letto i bambini, e alle dieci il vecchio convalescente si ritirò nella sua camera per coricarsi.