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LA TESTA DELLA VIPERA 13

— Abbia pazienza, disse la monaca, mettendole una pezzuola ghiacciata sulla fronte; il piccino dorme.

Ma la moribonda s’agitava viepiù.

La monaca fu commossa dall’accento di supplicazione disperata con cui quella poveretta pronunciò tali parole; si voltò indietro e susurrò alla Marianna nell’ombra:

— Contentiamola, pover’anima!... Faccia portar qui il bambino.

Marianna stette un attimo quasi esitante, poi crollò lievemente le spalle e se ne andò senza dir motto.

— Mio figlio!... mio figlio.... continuò ad esclamare con voce gemicolante la morente.

— Verrà, verrà, le disse la monaca. Sono andati a prenderlo... Si quieti, a momenti sarà qui anche suo marito.

Finalmente l’uscio s’aprì, ed entrò una balia assonnata, con aria di cattivo umore, e fra le braccia, serrato nel portabimbi, un fantolino di pochi giorni che gemicolava ancor esso, quasi alla pari di sua madre nell’agonìa.

Gli occhî di quest’ultima s’illuminarono d’un lampo di vita. La misera fece uno sforzo per tirarsi su della persona, per sollevare le braccia e tenderle al bambino; ma non potè nè l’una cosa, nè l’altra; il capo le ripiombò sul cuscino, le braccia sulle coltri.

La monaca prese il bambino dalla nutrice, e venne a porlo sotto gli occhî della madre. Era un bimbo miseruzzo, piccino, piccino, cogli