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LA TESTA DELLA VIPERA 159

che seguivano gli scongiuri respinti della povera donna, finì per cedere e promettere.

Era giunta l’alba: il vecchio Danzàno, trasportato sul suo letto dal figliuolo e dal genero, continuava nel suo letargo; tutte quelle ore passate di spasimo avevano affaticato all’estremo Matilde; la promessa strappata finalmente al marito era riuscita da ultimo a quietarne alquanto l’animo.

Ella non sapeva come; la sua mente confusa e il cervello stanco non potevano per allora suggerirgliene un modo, ma in nube aveva l’intima speranza che essa avrebbe potuto ottenere l’intento: Emilio s’allontanasse, e tutto fra lui ed Alberto fosse finito. Ai primi raggi del giorno, ella s’addormentò.

Il marito la guardava con profondo intenerimento nell’anima e le lagrime negli occhî.

— Povera donna! egli pensava. Potesse almeno dormire finchè io le ritorni sano e salvo!... Ma ritornerò io?... più facilmente no!

Un grande scoraggiamento lo invase, una gran debolezza gli occupò il cuore. Solo con sè stesso, in presenza di quell’amata donna che dormiva, presso a’ suoi figli, che dormivano ignari del pericolo che incombeva sulla famiglia, tutto il suo solito coraggio svanì; egli ebbe paura.

Poi tosto un nuovo e maggiore sdegno venne a risollevarne l’animo.

— Ma è possibile, è permesso che uno scellerato riesca a turbare la quiete, a minacciare