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LA TESTA DELLA VIPERA 165

cherai il modo d’aggiustarla, e il fisco non potrà d’altronde molestare nessuno dei due.

Cesare scosse tristamente il capo.

— A una cosa simile non si è affatto pensato, e io non so se Alberto sia disposto ad acconsentire. Bisogna assolutamente ch’io gliene parli.

Emilio crollò impazientemente le spalle.

— O mio Dio! che scrupoli fuor di luogo. Il signor Nori dev’essere contento ancor egli di cosa che lo mette al sicuro da una responsabilità piuttosto grave... Ma sia come volete... Per non perder troppo tempo, facciamo così: portate la dichiarazione al signor Nori; s’egli non affaccia nessuna difficoltà, la ricopia, la firma, e se la ritiene. Se rifiuta, voi verrete subito a dirmelo, e io allora lo inviterò a passare la frontiera ed andarci ad ammazzare in Isvizzera. Sono le sei: aspetterò fino alle sei e mezza: se non siete venuto, vuol dire che mi aspettate senz’altro al luogo del convegno, e io mi vi recherò sollecitamente.

— Va bene, rispose, accennando ad avviarsi Cesare, il quale non vedeva l’ora di esserne fuori.

— E non prendete copia della dichiarazione?

— Ah! è vero.

Cesare sedette al tavolino per iscrivere; ma la mano gli tremava talmente che le parole gli riuscivano sgorbî poco intelligibili.

— Aspettate che ve la scrivo io più in fretta, disse Emilio, ghignando a suo modo.