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182 LA TESTA DELLA VIPERA

disperata aveva realmente schiacciata la testa della vipera.

La vista di quel rivolo di sangue empì d’orrore e di spavento Matilde; essa mandò un grido, scavalcò il corpo del caduto, e, mezzo pazza, un tumulto nella testa, lo spasimo nel cuore, la soffocazione alla gola, corse e venne a cadere svenuta alla porta della villetta dove Cesare la raccolse.

Il servo di Emilio, tornato a casa dopo averne eseguiti gli ordini, trovò il padrone steso per terra e che pareva morto.

Gridò all’accorr’uomo, ma nessuno venne ad ajutarlo, onde egli, trascinato, come potè, il giacente fino al sofà del salotto medesimo, non sapendo che fare, corse nel villaggio a cercarvi il medico, senza pensare altrimenti a soccorrere il ferito, ch’egli ritenne d’altronde per bello e spacciato.

Spirato non era: una fiammella di vita guizzava ancora in quell’organismo, un barlume d’intelligenza rimaneva in quel cervello. Emilio non poteva parlare, nè far cenni, nè dar segno nessuno, ma viveva e sentiva di vivere, sentiva sè e il mondo intorno a sè: ma una voce piccola, piccola, intima, intima, gli diceva piano piano in fondo all’anima che quella era l’agonìa e che egli stava per morire.

Morire? Chi era che gli aveva richiamato