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26 LA TESTA DELLA VIPERA

e risoluta. In quell’essere ancora ignoto che la Provvidenza le mandava si concentrò per lei la ragione di vivere, tutto il bene possibile sulla terra, una luce divina che rischiarava meravigliose mai più sognate plaghe nell’avvenire. Se essa poteva soffrire rassegnata ogni sopruso, ogni travaglio, non voleva, non doveva permettere che una sorte uguale, accogliesse nel mondo quella creaturina che Dio le affidava; era suo obbligo prepararle più soffice il nido, più mite l’aurora, per così dire, più sereno il cielo. Di qui nuovi e maggiori contrasti col marito e la governante. La notizia della prossima maternità di Luisa era stata accolta da Lorenzo colla sgarbata indifferenza del suo cinico egoismo, da Marianna con nuovo dispetto e un accrescimento di malevolenza. Ogni giorno avevano luogo scene violente, disgustose, vergognose fra quei due tristi e la loro vittima, la quale ora trovava un coraggio non avuto mai per difendere in sè stessa il figliuolo nascituro; ma ognuna di quelle scene portava via, per così dire, parte della vita alla povera donna, già così debole e cagionevole, di modo che quando giunse il momento del parto, l’infelice era affatto stremata di forze. Ella avrebbe voluto allattare il bambino essa stessa, ma il medico la persuase che ciò era impossibile; avrebb’ella voluto che la nutrice stesse in casa, per aver essa sempre seco suo figlio; ma questo la Marianna non voleva tollerare, e il marito lo negò assolutamente. In una cosa sola vinse il desiderio di Luisa; nella scelta del padrino.