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32 | LA TESTA DELLA VIPERA |
Si sarebbe creduto che quelle giornate passate nella famiglia del padrino riuscissero un diletto, un godimento pel piccolo Emilio; e invece così non era: perchè a misura ch’egli avanzava in età, si manifestava e cresceva in lui uno dei più brutti vizî, e più inspiratori di malvagità: l’invidia. Quel disgraziato, della madre non aveva pure la bontà dell’anima, ma soltanto la bruttezza del corpo; dal padre aveva attinto la tristizia dell’umore e del carattere; sottoposto alle sfuriate paterne, alle continue persecuzioni della Marianna, egli ci aveva aggiunto la dissimulazione e l’ipocrisìa.
I cuginetti erano belli, sani, ben vestiti, accarezzati, regalati d’ogni ragionevole divertimento, sempre lieti e concordi, e paragonando a loro sè stesso, infermiccio, sgraziato, male in arnese, maltrattato, ignorante, ineducato, goffo, Emilio Lograve si struggeva d’un’invidia tanto più amara quanto più dissimulata.
Per l’istruzione d’Emilio fu ancora il Danzàno che decise il malconsigliato padre a fare qualche cosa: e siccome tanto a Lorenzo quanto alla Marianna andava a versi di togliersi quell’imbarazzo dai piedi, all’età di dieci anni il figliuolo di Luigia fu cacciato in collegio.
Il soggiorno in questo fu ad Emilio poco meno ingrato di quello della casa paterna. I ragazzi sono abilissimi ad intuire il carattere di coloro con cui convivono, ed Emilio fu presto conosciuto per maligno, invidioso, mettimale ed ipocrita: e fu da tutti i compagni mal visto. De-