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34 LA TESTA DELLA VIPERA

Si ricordò di Davide e Golìa: duello in cui la abilità del giovanetto aveva vinto la forza del gigante: scelse lì per terra un sasso tondeggiante, grosso come un uovo, lo pose nel fazzoletto di cui si servì come una fionda, e fattolo girare due o tre volte per aria, lo scagliò in direzione del detestato compagno. L’occhio e la mano furono giusti: il giovanotto colpito cascava in terra, sanguinosa la fronte, smarriti i sensi. Emilio, ratto, s’era nascosto nella boscaglia, felice e glorioso seco stesso del suo bel colpo. Quel sasso parve a tutti i presenti piovuto dal cielo; invano guardarono di qua e di là per iscoprire da qual mano fosse stato tratto; nessuno si vide, nulla si mosse. Coll’aria più innocente del mondo Emilio raggiunse i compagni e simulò con arte perfettissima la più reale meraviglia e la più sincera indignazione.

Il ferito, lavatagli con acqua fresca la fronte, presto rinvenne, e fasciatogli come si potè meglio il capo, si sentì abbastanza in forze da potere tornare a piedi in collegio, dove però dovette rimanere un po’ di giorni in infermeria.

Emilio gongolava nel suo segreto. Di quella scopertasi abilità si piacque coll’esercizio ad accrescere la perfezione; e in breve divenne sì esperto, che colla fionda e colla mano, a quella distanza a cui le sue forze potessero far giungere il sasso, egli era sicurissimo di colpire qualunque menomo oggetto preso di mira.

«La civiltà, pensava Emilio, ha voluto rendere terribile anche la debolezza di chi ha l’oc-