Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
44 | LA TESTA DELLA VIPERA |
cerebrale, che poteva di colpo avere una fatale risoluzione.
Lorenzo s’accorgeva di questo affissarlo del figliuolo, per quanto i falsi occhî di lui sfuggissero ratti, appena quelli paterni facessero a incontrarli, e se ne irritava, quasi indovinandone il segreto motivo.
— Che cos’è che mi guardi con quel tuo occhio di serpe? gli gridava incollerito. Hai paura che io stia troppo bene?
Emilio non rispondeva; arrossiva un poco e si allontanava a capo basso.
Pensava:
— Una buona cura dietetica, un cambiamento assoluto di vita, qualche rivulsivo varrebbero ad allontanare il pericolo. Guarirlo, impossibile; ma prolungargli resistenza chi sa per quanti anni, sì... Ma egli non mi crederebbe, nè mi darebbe retta, farebbe peggio... È lui che sel vuole... Ciascuno è padrone della sua vita... Faccia a suo senno.
Una notte Lorenzo Lograve tornò a casa con passo più vacillante del solito, gli occhî pieni di sangue, la lingua grossa, le labbra livide. Secondo il solito, nessuno lo aspettava; giunse nella sua camera inciampando nei mobili, urtando colle spalle nelle pareti e negli stipiti; si spogliò a stento con mano quasi convulsa, strappando quasi i bottoni, lacerando i panni, e quando fece per salire sul letto, ruzzolò e diede un tonfo per terra. Marianna che dormiva nella camera vicina, svegliò Emilio che le venisse in