Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
la testa della vipera | 7 |
chi soldi al metro e per difendersi dal freddo di quella notte invernale s’era avvolta in un mantello impellicciato da mille lire: con un fazzoletto di lana s’era coperto il capo, e ora, levatoselo in quel caldo ambiente, mostrava una capigliatura abbondante, nera come ala di corvo, in cui correvano già numerosi i fili d’argento. I pochi resti di una bellezza volgare, contadinesca, sparivano sotto la pinguedine che le faceva enormi le guancie e sotto una espulsione cutanea che glie le arrossava. Gli occhî, neri come i capelli, avevano un’espressione audace, curiosa, investigatrice, spiacente. La voce era forte, maschia; le labbra sottili della bocca troppo grande scoprivano ad ogni momento i denti bianchissimi e robusti.
Il collo grosso e corto aveva un giro di granate con un fermaglio rotondo d’oro, grosso come il dito pollice; e le mani tozze, corte, dalle unghie schiacciate, erano sovraccariche di anelli.
Appena vide entrare il signor Lograve, quella donna esclamò:
— Presto, presto, sor Lorenzo... Venga a casa... Sua moglie sta malissimo.
— Peggio di quando sono uscito?
— Assai peggio.
— È lei che ti manda?
— Oh! no... La non può nemmen più parlare. E poi essa non oserebbe...
— È di tuo capo che t’è venuta la bella idea, di venirmi a rintracciare fin qui?