Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/126

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118 capo vii.

operò da principe sovrano e indipendente. Proibì a’ Cenedesi il ricorso a’ tribunali secolari, gli obbligò al fôro ecclesiastico, e a ricorrere per caso di appello alla Santa Sede, di cui diceva feudo il tenitorio. Il papa, contento del regalo, elesse suo procuratore il nunzio a Venezia, e sostentò gli atti illegittimi del Mocenigo.

I Cenedesi tenendosi aggravati, ricorsero al senato; e questo offeso ne’ propri diritti, annullò gli atti del nunzio e del vescovo, e mandò oratori a Roma per esporre lo stato genuino delle cose a Clemente. Il quale persistendo, corse alle minaccia, poi ai monitorii e infine alla scomunica, che i Veneziani e i Cenedesi si fecero un dovere di non osservare. E già la lite prendeva un aspetto minaccioso, quando il papa pressato da altre contingenze accordò colla repubblica che sulla parola di principe l’uno e l’altro annullasse le cose fatte in pregiudizio reciproco, rimettendo il fondo della contesa ad altro momento. Ma erano astuzie: i Curiali tornarono da capo, e peggio il vescovo. Nuove querele a Roma; il papa se ne protestò ignaro, e abolì queste altre novità. Ma non ancora finiva se lo stesso pontefice, per una disobbedienza del vescovo, non lo obbligava a deporsi dall’episcopato, nel 1598, a cui il senato sostituì Lionardo Mocenigo, cugino di Marcantonio. Così per allora fu acquetato quel negozio, cui vedremo risorgere nel 1611.

Lo stesso anno 1595 spiacque a’ Veneziani una bolla del pontefice la quale proibiva, pena la scomunica, agli Italiani di portarsi di là dai monti nei paesi dove fossero eretici, senza una licenza degli