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capo xi. | 211 |
provvedere. Non era che una misura di polizia civile che nulla aveva a fare colla religione; ma il papa non la intendeva così, e Lucca, piccina e debole, cedette come Spagna, Napoli e Savoia più potenti, e rivocò l’editto che poi fu per autorità del pontefice rinovato. A Genova gli amministratori di confraternite e instituzioni pie acccusati di avere sottratto a proprio utile il danaro affidatoli, furono richiesti a rendere le ragioni dinanzi a’ magistrati. Era accaduto eziandio che i gesuiti avessero instituita una delle solite loro congregazioni dove sotto pretesto di esercizi spirituali adunavano buona quantità di cittadini, dai quali i Padri pigliavano giuramento di non dare il partito per le magistrature se non a persone di quella società. Il che significava che la Repubblica doveva governarsi a talento dei gesuiti: cospirazione temeraria e degna di severo castigo; ma il governo si contentò di sciogliere la congregazione. Le quali cose sapute da Paolo V, sclamò, essere un attentato alla libertà ecclesiastica; la congregazione si rimettesse, i malversatori delle confratrìe al fôro ecclesiastico si mandassero: se no, le scomuniche stavano pronte. E Genova ancora ebbe la debolezza di cedere.
Da questi felici esperimenti inorgoglito, il papa si voltò con tutti i pensieri contro Venezia. Abbiamo già veduto i mal repressi rancori che passavano tra Venezia e la Corte; cui il nuovo pontefice indiziò di voler ravvivare. Imperocchè, oltre varie querele mosse agli ambasciatori della Repubblica andati a complimentarlo, chiesto da loro che terminasse le pendenze di Ceneda; rispose, non essere