Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/221

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capo xi. 213

clero. Providissima la prima, stantechè nello Stato vi fossero già chiese, ospedali e monasteri e preti e frati più che non ne bisognavano, e chiese giacessero in quasi abbandono e monasteri penuriassero. L’altra era voluta da imperiosa necessità e desiderata da’ sudditi, imperocchè il clero possedeva egli solo oltre il quarto e fin anco il terzo di tutti gli stabili, che per essere esenti da tributi gravavano i pesi pubblici tutti a dosso de’ secolari; oltredichè preti e frati usavano frodi infinite per carpire eredità, possessi, livelli, censi, sì che le liti erano perpetue.

Comunque sia, richiamarsi di leggi vetuste e sancite da lungo uso era veramente un mostrar desiderio di brighe, di che i Veneziani a giusta ragione si dolevano.

Ma infervorò la contesa dopo che un certo canonico Scipione Saraceno di Vicenza aveva rotto i suggelli pubblici posti al palazzo vescovile; poi, non avendo potuto ridurre alle sue libidini una dama sua parente, volle infamarla appiccando alla porta di lei cartelli di oltraggiosa bruttura. La donna ricorse al Consiglio dei Dieci, e il canonico per ambi i delitti fu portato nelle carceri decemvirali.

Lo seppe il papa dal suo nunzio Orazio Mattei, e ne mosse aspro lamento ad Agostino Nani ambasciatore veneziano: essere, diceva, violazione della libertà ecclesiastica, doversi rimettere il canonico ai fôro ecclesiastico; oltraggiare una donna, rompere suggelli non essere caso atroce perchè ne giudicassero i secolari. Poi tirò in campo le due leggi: che erano eresie e che bisognava abrogarle. L’amba-