Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.1, Zurigo, 1846.djvu/317

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capo xv. 309

tri seduttori fossero consegnati al Sant’Offizio o almeno abbandonati dalla Repubblica e privati dello stipendio. Ma il nunzio trovò così spinoso il negozio che volle neppure tentarlo.

Saggiò altra via. Chiese al Collegio un abboccacamento con Frà Paolo, dicendo essere così convenuto coll’ambasciatore Contarini. Il Collegio volle prima udire il Sarpi, il quale mostrò essere non minori inconvenienti in questo caso che in quello del Gioiosa. Ciò nondimeno volendosi compiacere il nunzio, trattarono i Savii la formola del colloquio, le cose da evitarsi, quelle a cui si poteva rispondere; ma sursero tante difficoltà perchè non potevano indovinare ciò che passasse per la testa a monsignor Gessi, che finirono a concluder niente.

Non perciò la Corte si scoraggiva; ma ogni qualvolta dovessero andare o passare per Venezia prelati di qualità, a tutti dava commissione di cogliere qualche pretesto onde vedere il Sarpi, e tastarlo, e tentare di fargli abbandonare il servizio della Repubblica sempre mettendogli innanzi la clemenza del papa, gli onori che poteva dar Roma, il pericolo de’ suoi fulmini, la volubilità dei governi, e la vanità del patrocinio accordatogli che poteva mancare coi tempi e cogli interessi. I più dovettero visitarlo nella sua cella; pure alcuni andò egli a trovare, invitato, a casa loro quando estimò che non correva alcun rischio; ma a tutti apparve sempre dello stesso parere. Anco il cardinale Pinelli inquisitore generale a Roma gli fece scrivere dal procuratore dei Serviti, esortandolo che colà andasse dove sarebbe bene