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giunse che aveva molto spirito, che era un po’ più che frate; ma erudito niente. Il che era, come risponde il Morofio, negare la luce del sole, e che Frà Paolo non pur era un po’ più che frate, ma molto più che il cardinale.

Frà Paolo era estremamente sobrio. Pochi legumi, un poco di pane abbrostito e un bicchiere di vino bianco costituivano il suo pasto ordinario. Anzi vino non bebbe se non dopo i trent’anni; prima dei 55 non gustò quasi mai carne; poscia ne usò, ma in così scarsa misura che era meraviglia. Non mangiava mai in camera, neppure quando fu Consultore che aveva comodi, mezzi ed autorità di farlo; ma sempre in refettorio comune, e dalla comune cucina. Poco dava al sonno, le intiere notti passava allo studio in orazione, e stanco si gettava vestito sopra una cassa. Così poco logorava il letto che due paia di lenzuoli gli durarono oltre vent’anni e ne fu fatto espresso ricordo ne’ registri del convento.

Curava le mondizie della persona colla decenza di un filosofo e trascurava la eleganza del vestire colla gravità di un ecclesiastico, non con l’affettata sudiceria di un cinico. Non ebbe mai più di un abito, a tal che ove fosse caduto in acqua gli sarebbe convenuto aspettare che fosse asciutto per vestirsi. Nissun pensiero di sè, fidava nelle paterne cure di un buono e vecchio frate per nome Giulio, che lo amava sin da fanciullo; il quale riceveva dal convento i danari per vestimento e calzatura e biancheria, e a tempo lo provvedeva. Ei lo chiamava suo padre.

Fatto poi Consultore e fornito di generosi stipendi, non fu più di alcuno aggravio alla comunità, cui anzi sovvenne largamente del proprio.