Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/10

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2 capo xviii.

non potendo de jure ricusare il patriarca proposto dal Senato, l’esame non riusciva di alcun pregiudizio ai diritti della Repubblica, e si poteva benissimo lasciare che gli facesse quanti esami voleva.

Questo scriveva Frà Paolo prima dell’ottobre 1607, onde si vede che non era peranco tanto avverso a Roma, che, a procurare una perfetta concordia fra i due governi, non inclinasse a compiacerla in tutto che non compromettesse le ragioni della sua patria. E se la Curia avesse saputo moderare il proprio fanatismo, avrebbe potuto se non affezionarselo, almeno non renderselo quel formidabile nemico che lo provò poi sempre per diciasette anni; e lo spirito di cui, sopravvivendo alla persona, continuò a percuotere colla invisibile sua forza la Santa Sede, tendendo a ridurla a quel solo spirituale che i Curialisti chiamano un niente.

Ma quando appunto si trattava questa contesa del patriarca, accadde l’assassinamento del Consultore, e il Senato, pieno di sdegno per l’alta ingiuria, si mostrò inflessibile agli accomodamenti e dichiarò di voler persistere nella conservazione de’ suoi diritti; finchè per interposizione della Francia, concordarono lo stesso mezzo termine come nel Zane. Ma la Corte, per connivenza del patriarca medesimo, mancò agli accordi; e alla mala fede aggiungendo l’insulto, fecelo esaminare da un gesuita: strano ripiego per conciliare gl’Ignaziani colla Repubblica. Paolo V accortosi della indecenza, a rimedio onorò il Vendramin quanto più potè, e gli consegnò un Breve che esonorava d’ora in poi i patriarchi di andare a Roma. Sotto il velo delle blandizie era un’astuzia