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CAPO VIGESIMOPRIMO.


(1609-15). Non è da ieri che i cherici, la storia de’ quali è una serie continua di scandali, si sono recati a debito di calunniare la filosofia; e per farla bandire dal mondo e chiamare in sua vece una pia stupidità, passiva ministra della superstizione, cercano d’interessare il genio sospettoso di chi regna, attribuendo a lei le inquietudini politiche che altro non sono se non se naturali conseguenze di uno stato innormale ai bisogni della società presente. Alcuni possono bene gridare repubblica, altri monarchia, ma lo spirito de’ popoli non è per questa nè per l’altra; bensì desidera quella onesta libertà che lascia all’uomo l’uso delle sue facoltà intellettuali, per raggiungere, quant’è possibile, il suo perfezionamento; e quell’ordine di leggi in cui siano considerati non i comodi di un solo o di pochi, ma la quiete e sicurtà universale, o che per soverchie clausole e troppi pretesti di reprimere il male siano di ostacolo al bene. Chi userà questa semplicità di governo che si adatta a tutti i sistemi, e che solo esige disinteresse e amor sincero degli uomini, otterrà quello che oggi tutti desiderano, che pochi possiedono, dico la pace domestica tra principe e popolo, effetto non mai della forza, sempre della ragione.