Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/164

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156 capo xxii.


Perchè la corte di Roma avrebbe potuto impedire benissimo che si rompesse l’unità della Chiesa quando avesse voluto rinunciare di buona fede a pretensioni di grandezza mondana. I desiderii del mondo erano rivolti ad una riforma radicale de’ costumi, e chiedevano il matrimonio dei preti usato tanti secoli, la comunione del calice andata in disuso da non lungo tempo, le liturgie in una lingua intesa dal popolo, e che fosse corretto il culto alle immagini ed ai santi degenerato in idolalatria, e che fosse ridotta a’ suoi veri principii la dottrina intorno al purgatorio contaminata da favole, e che il numero de’ frati ed i loro privilegi fossero diminuiti, e fosse restituita a vescovi la loro autorità, e fossero abolite le indulgenze che davano tanto scandalo, e il troppo de’ giorni festivi che fomentavano l’ozio e la miseria, e che non fossero più portate a Roma tante cause con offesa della giustizia e danno de’ privati, che rinunciassero i cherici ad immunità che opprimevano i laici, che non più le cose sacre fossero amministrate a suon di danari, e tanti altri abusi di questo genere contenuti nei Cento Gravami presentati da’ Tedeschi alla Dieta di Norimberga: ma tolti questi abusi erano fiaccati i nervi alla potestà ecclesiastica e insterilivano le fonti de’ suoi tesori; perciò la corte di Roma vi si oppose, e il concilio di Trento non se ne occupò consumando le sessioni a recitare il Credo, a disputare sulla grazia, a difendere l’autorità del gran teologo Aristotele, a stabilire che quattro devono essere i gradi di parentela che impediscono il matrimonio perchè quattro sono gli umori del corpo umano, e a provare che