Pagina:Bianchi-Giovini - Biografia di Frà Paolo Sarpi, vol.2, Zurigo, 1847.djvu/27

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capo xviii. 19

per conseguirla; e se prima dell’interdetto i Curiali dicevano che a Venezia i preti erano a peggior partito che non gli Ebrei sotto Faraone, s’immagini il lettore che dovevano dire dopo tanti preti impiccati, carcerati, o banditi, o propulsate pretese, e leggi nuove sui cherici, e aggravi sui loro beni, e il rigore di una mano di ferro che gli frenava e da cui indarno tentavano di svincolarsi. Suonavano alto le accuse contro il papa, cui tacciavano di debolezza nel passato negozio, e poco mancava non lo dicessero eretico. Almeno lo incolpavano di avere avvilito nella polvere il gran manto di San Pietro, e discoperto l’arcano che faceva audace e potente la Curia romana. «L’animosità della quale contro la Repubblica, scriveva l’ambasciatore Contarini, è così fatta, che non vi è cardinale, eccettuato il Delfino per essere veneziano, che formi una parola in favore di lei. Tutti vogliono carrucolare il pontefice in nuovi e più fastidiosi accidenti dei passati. Attizzano il popolo con calunnie e modi artificiosi, sì che il nome veneziano è diventato odioso». Paolo V anch’egli sentiva di amaro, e davvero parevagli d’essersi di troppo umiliato, e anelava a qualche azione luminosa che servisse a ristorare il suo credito, e a far sentire il peso della papale autorità sull’orgogliosa Repubblica. Quel Frà Paolo gli dava un gran fastidio, e non lo dissimulava: era uno spauracchio che gli stava dinanzi agli occhi e lo inseguiva come l’ombra del proprio corpo. «Sono superbi, diceva spesso coll’ambasciatore di Francia de Breves, perchè hanno quel frate loro teologo; ma farò vedere che la sua dottrina è erronea, che non se